Ieri era il 29 ottobre 2025, per la Tanzania è stato il giorno delle elezioni politiche. Da mesi si attendeva con paura questo giorno, perché nell'aria c'era una tensione alle stelle, la rabbia covava silenziosamente soprattutto nelle città, ed era a tutti chiaro che si attendeva solo quel giorno per farla esplodere. E così è successo. Dal mio piccolo osservatorio di Mapanda è sembrato un giorno come gli altri, anzi più tranquillo perché non c'era anima viva e ne ho approfittato per preparare una meditazione degli esercizi che dovrò predicare la prossima settimana ai membri della comunità Papa Giovanni XXIII, una decina di persone, fra cui diversi disabili, che verranno qui a Mapanda per tre giorni di deserto. Giorno più tranquillo del solito, anche perché il governo ha chiuso il traffico dati, per cui ci è impedito informarci e comunicare se non con la telefonia mobile.
Ma le notizie non si sono fatte attendere, anche perché non riguardano solo le grandi città come Dar es Salaam o Mbeya, ma anche quelle più vicine a noi, come Mafinga e Iringa: cortei, disordini, autobus bruciati, posti di polizia distrutti, e purtroppo non si contano morti e feriti.
Ma cosa è successo ad una nazione che dal 1961 è sempre stata in pace? La risposta è banale, quasi stucchevole, perché sembra di risentire sempre la stessa canzone, niente di nuovo: da anni la Tanzania è una democrazia di facciata, ma in realtà è una dittatura: partito unico che governa da quando lo stato esiste, accentramento del potere in una persona, il presidente, repressione anche violenta di ogni voce fuori dal coro, rapimento e scomparsa di tantissime persone considerate pericolose, perché impegnate a diffondere un pensiero in aperto disaccordo col regime, arresto e condanna a morte del principale oppositore politico, con l'accusa di tentato Golpe solo per aver invitato la gente a scendere in strada e contestare l'operato di un governo corrotto e mafioso. L'impostazione dittatoriale era già un fatto nella precedente amministrazione, ma almeno si trattava di una dittatura alquanto popolare e anche su certi aspetti illuminata. Poi il presidente John Pombe Magufuli è morto (non si sa bene come) ed è subentrata per diritto costituzionale la sua vice presidente, Samia Suluhu Hassan, che è così salita al potere senza alcuna elezione. Con lei si è entrati in una vera e propria plutocrazia, in cui lei stessa è manovrata come una marionetta da chi detiene i grandi capitali ed ogni passo compiuto è andato nella direzione di favorire gli interessi degli straricchi, a discapito della grande massa di poveri. Niente di nuovo sotto il sole, ma la sfacciataggine con cui si sono intraprese e portate avanti queste politiche ha dell'incredibile. L'atto più grave in assoluto è stato quello di vendere i porti agli Emirati Arabi, mettendo così la Tanzania ed anche altri paesi che dipendono da questi porti in una totale sudditanza commerciale nei confronti dei nuovi proprietari, che possono decidere i prezzi di tutto ciò che esce ed entra, stabilire i dazi e persino proibire i movimenti commerciali che non ritengono vantaggiosi (per loro). Questo fatto, accaduto a marzo dell'anno scorso, ha portato anche la conferenza episcopale ad alzare la voce in un comunicato che è stato letto in tutte le chiese cattoliche del Paese.
Arrivati così all'anno delle elezioni, il fermento sociale e politico è cresciuto, con tante nuove formazioni politiche e candidati alternativi; ma fin da subito è iniziata l'opera repressiva del regime, minacciando, corrompendo e anche scendendo a vie di fatto, con sequestri, sparizioni, arresti e uccisioni mai rivendicate ma che non lasciano dubbi sui mandanti. Nelle università, dove il pensiero circola e ferve, venivano infiltrati giovani, studenti di facciata, che facevano in realtà da spie e rivelavano i discorsi sospetti di professori o altri studenti.
Nelle città si è iniziato a vivere nella paura, l'indignazione è cresciuta ogni giorno di più.
Le elezioni cosiddette basse, per eleggere i sindaci e i capi di provincia, sono state una farsa; era tutto già stabilito e giravano ovunque camion pieni di schede elettorali già compilate da riversare dentro le urne; un maestro di una nostra scuola secondaria è testimone, in quanto scrutinatore, che dopo mezz'ora di conta dei voti entrò un pezzo grosso a dire di fermarsi, poi mise un foglio sul tavolo dicendo che quello era il risultato da dichiarare. In certi villaggi o città si ripresentò quel sindaco che nessuno voleva più e tutti sapevano che non poteva essere passato lui; e la rabbia continuava a montare.
La premier, che non è stupida, cominciò a capire che non bastava più qualche bel discorso populista e imbonitore; e così per evitare rischi ha tolto di mezzo non solo tutti gli altri partiti, impedendo le loro riunioni, ma anche i candidati alternativi del proprio partito. Chi non è stato fatto fuori si è dimesso. Non si poteva votare che lei.
Mentre scrivo – senza sapere se e quando potrò inviarvi questo scritto, perché internet ad oggi non funziona – pare che la premier se la sia data a gambe fuori dalla Tanzania (chissà, forse negli Emirati, qualcun altro dice in Rwanda) e nelle città è il caos, si rischia la guerra civile, chi è andato a votare è ora ricercato dai rivoluzionari come traditore, lo stesso esercito è spaccato in due tra chi sta cercando di opporsi alle violenze dei rivoluzionari e chi si è schierato dalla loro parte.
Solo due settimane fa qualcosa del genere è accaduto in Madagascar, dove il presidente è fuggito e ha preso il controllo l'esercito, imponendo la legge marziale fino alle prossime elezioni (che non arriveranno mai!).
Impressiona come la pace possa dissolversi in un giorno, e di colpo il Paese che conoscevo, dove vivo da quasi dodici anni, diventa un'altra cosa. Non lo so, sono qui senza possibilità di informarmi, è passato solo un giorno, forse è troppo presto per dire cosa succederà, ma ho la sensazione che qualcosa si è veramente rotto e che da oggi in poi questa nazione non è più la stessa di ieri l'altro. Confesso che mi fa paura. Certo, per ora le realtà rurali e lontane dalle città, come Mapanda, sono quelle meno coinvolte. Ma fino a quando? Se va al potere l'esercito la storia prende una bruttissima piega.
Si capisce veramente cos'è la pace quando questa ci è tolta; si capisce il valore immenso della libertà quando a poco a poco ne siamo privati.
E allo stesso tempo, la libertà e la pace avevano già iniziato a vacillare quando si smise di custodirle, valorizzarle, farle crescere in un contesto di giustizia ed equità per tutti. Si è vissuti di rendita per troppo tempo in Tanzania, continuando a sentirsi tranquilli all'ombra di quella pace ottenuta al Paese dal genio di Julius Nyerere, il primo e più grande presidente, vero educatore ad un senso di coappartenenza e di fratellanza.
Vi chiedo di pregare, anche se confesso il mio pessimismo riguardo ad un futuro promettente: si può solo passare dalla padella alla brace.
Noi qui, nel nostro piccolo contesto parrocchiale, abbiamo avuto mesi molto intensi dopo la celebrazione della Dedicazione della Chiesa Parrocchiale: le missioni al popolo in ogni villaggio e l'accoglienza della croce giubilare, anch'essa pellegrina in tutti i villaggi della Parrocchia. Occasioni di grazia speciale per tanti che hanno ricominciato un percorso di fede interrotto, oppure hanno accolto per la prima volta l'annuncio evangelico ed ora sono in cammino verso il battesimo.
Abbiamo gioito anche della presenza di alcuni ospiti bolognesi nel mese di agosto e soprattutto di Alice, una giovane che è rimasta con noi per tre mesi, condividendo semplicemente la vita quotidiana e lasciandosi coinvolgere con coraggio nelle tante realtà anche pastorali. La sua presenza è stata molto preziosa per noi preti, per le altre persone che vivono in parrocchia e per le tante persone che l'hanno conosciuta, soprattutto i giovani, con cui ha condiviso un pellegrinaggio di tre giorni a piedi da Mapanda alla cattedrale della nostra diocesi di Mafinga.
Nel mese di novembre, sperando che i gravi disordini non lo impediscano, tornerà a casa per una breve vacanza don Marco, mio compagno di ministero. Io dovrei fare lo stesso a gennaio del prossimo anno.
Vi ricordo tutti al Signore, specialmente chi di voi è più provato nel corpo e nello spirito, e perdonatemi per il lungo tempo in cui non vi ho mandato alcuno scritto.
Un abbraccio.
Don Davide.
PS. Dopo diversi giorni da questo scritto dovrei finalmente riuscire ad inviarvelo. Aggiungo qualche aggiornamento sulla situazione socio-politica, che comunque sta evolvendo di ora in ora. Ieri la presidente “legittimamente eletta” dal 98% dei tanzaniani ha fatto il giuramento. Si temeva una escalatiaon a causa di questo fatto, perché l'obiettivo unico dei tumulti era costringerla a fare un passo indietro e rinunciare all'incarico, indicendo nuove elezioni. Tuttavia le notizie che ci arrivano riguardo alle città di Iringa e di Mafinga è che si sa tornando alla normalità. Chissà, forse i tanzaniani sono veramente di indole persone pacifiche, così ormai stanchi e desiderosi di tornare alla vita normale, hanno desistito dalle sommosse. Io però sono ancora prudente nel dire che è tutto finito. Anche perché in tanti, compresi membri importanti dell'esercito, si sono esposti in prima persona in queste rivolte, e la presidente, una volta ripreso il possesso pieno dei suoi poteri, cosa farà? Stento a credere che perdonerà i suoi persecutori. Temo una forte ritorsione sui responsabili, dai più in alto fino ai tantissimi giovani che dal basso hanno contribuito. Comincerà una caccia ai traditori, i quali si nasconderanno a casa della bibi (la nonna) nei nostri villaggi. Ma forse sono troppo catastrofico. Ne riparleremo fra un po'.
Riguardo a don Marco, siamo ottimisti che domani riesca a prendere il volo per Dar e poi quello per l'Italia.